Secondo una versione aggiornata della teoria della relatività (galileiana) chiamata “TEORIA DEL MIO PUNTO NEL MONDO” è facile determinare la mia posizione in un luogo delimitato: sono nell’angolo. Dove c’è una visuale migliore. Dove posso controllare tutto a vista senza preoccuparmi di cosa accade alle mie spalle. E’ questo il motivo per cui preferisco la piscina al mare, il parco al bosco, la strada alla piazza. In una città voglio perdermi. Voglio sorprendermi ad ogni angolo non sapendo quello che troverò. Aprirmi ad ogni possibilità. Specialmente a Venezia, dove male che vada mi trovo affacciato sul mare e posso solo tornare indietro e cambiare strada. Però con Venezia si ritorna in un luogo chiuso (in senso lato). A Venezia non ci sono auto. Ovvio. La città perfetta a misura d’uomo. Si sale, si scende, si riflette. Ci si ferma per un ombra di vino rosso e un cicchetto. Si osservano le facciate ricamate vibrare nei loro riflessi d’acqua mossa. La paranoia dei ponti tutti uguali che meritano un bacio ad ogni passaggio. Il mistero dei sotoporteghi che aprono passaggi segreti nella pancia del corpo edificato. L’assenza di frenesia. La possibilità del mistero. La proiezione di una inconscia inquietudine. Mi sono perso un giorno a Venezia cercando di arrivare al Peggy Gugghenheim. Da Sydney un’amica stava festeggiando l’anno nuovo e cercava di aiutarmi a trovare la strada. Potenza degli SMS e di GoogleMaps.
2 marzo 2008
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