13 febbraio 2008
E.R.
Dalla sedia blu con i braccioli, una donna ricciuta, gli occhiali sottili cocciutamente tenuti sulla punta del naso, abbraccia con lo sguardo l’intera sala di attesa del pronto soccorso. Tiene a mente chi va e chi viene e scrive minuziosamente, prima sul suo personale blocco per appunti , poi in bella copia sui moduli ufficiali. Scrive molto di più di quello che le persone dicono. E’ la responsabile del triage. Ha il potere di determinare l’ordine che i medici seguiranno nel prestare cure e medicazioni. Ha poche parole e molti sorrisi, al dolore di chi entra nulla di meglio da offrire di un composto e immoto sorriso: qui non ci agitiamo, qui sei al sicuro, qui ci prenderemo cura di te. Ha raggiunto un compromesso con se stessa, smetterà di lamentarsi ogni mattina per il colore mortificante del camice che deve indossare. Lei non presta cure, non tocca le persone. Lei ascolta e decide. Al massimo consegna le cartelle. Nulla più. Il suo è un ruolo di responsabilità, pensa. Mi serve un camice di un colore diverso.
Pensieri simili si rincorrono nella mente di Lorenzina. Si susseguono senza cesure, talvolta senza censure e lei non sa fermarli. Sente la testa pesante, i piedi gonfi. Eppure ha iniziato il turno da meno di due ore. Sente la testa pesante, si ferma lungo il corridoio di sevizio e si appoggia al muro. Ha appena accompagnato in radiologia un giovane con un piede nudo, un piede grande e bianco. Si accarezza il collo. Cerca nella tasca del camice una gomma da masticare per rinfrescare l’alito. Era più alto lui seduto sulla sedia a rotelle di me in piedi. E di sicuro non aveva niente, non presentava nessun gonfiore né colorazione anomala. Lorenzina si stacca dal muro, riprende a camminare fino ad accostarsi al vetro dell’accettazione. Mara è sola nella stanza, continua a indossare il solito, ineffabile sorriso e quando si accorge di essere osservata accentua il ghigno e geme un acuto: sssiiiiiiiii????
Lascia Mara alle sue domande ed entra nella sala visite. Il dottor Brandi è chino sul petto di un’anziana signora a cui un cambio di dosaggio nelle medicine ha provocato una leggera tachicardia. Viene il turno di un operaio calvo e sudato che è scivolato mentre scendeva dal muletto. Tiene un sacchetto di ghiaccio sul ginocchio e in mano un bicchiere di plastica che non ha avuto ancora il tempo di gettare. Parla a voce alta, ripete: ho perso davvero tanti soldi! Se andavo a casa l’assicurazione mi pagava. E invece mi hanno visto tutti che sono caduto. Ora mi passano solo i giorni di infortunio, mannaggia quanti soldi ho perso.
Lorenzina spera che almeno un occhio del dottore si posi su di lei. Uno sguardo diretto, però, non quello sguardo obliquo e indifferente che le riserva di solito. Arrossisce nell’attesa e decide di uscire dalla sala visite. La sala d’attesa è piena ora, sembrano tutti codici bianchi per fortuna. Mara si lima le unghie. Nessuno in fila per l’accettazione. Triage lo chiama, ridicola. E’ strano che ancora nessuno si lamenti per l’attesa.
Eccolo che esce, quant’è alto, lo dicevo che non aveva niente.
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1 commento:
Tutto molto chiaro e dettagliato, mi sono soltanto perso la cornice intorno al quadretto :-)
Poi mi racconti meglio cosa ti è successo...
Ciao, Andrea
PS: mica puoi postare sempre alle una di notte, altrimenti la mattina i tuoi occhi spaziano ben oltre monitor o muro
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